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Era una cosa che amavo fare da bambino

Nell’innocenza molte cose prendevano forma sconoscendo l’innato spirituale danzare d’etereo. Essere sentimento, vivere proiettato nel cambiamento che sente, studiarsi per migliorarsi, ammonirsi per rigenerarsi, servire per esistere nella missione. – Mario, tuo fratello sta cercando comunicarti, che essendo ancora piccino, ha bisogno di aiuto a portare il suo zaino. / Respiro Mediterraneo Algoritmi di Pace Cortile delle Nevi, Casa Museo Sotto l’Etna Corpi d’Argilla (Ombelico), Il Giardino dentro il giardino, Piazza Abramo Lincoln Radici Soccombono Lentamente, Se nella tua bici hanno tolto i pedali non ti resta che scrivere. (2008) – Quello che faccio si chiama Poetica, Visioni messe in circolazione, la forza costruttrice di un racconto. (Catania Visionaria)

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Spazio Limitato Tempo Occultato

Di corsa sempre di corsa, ogni tanto mi ricordo ma poi l’ora è tarda. Una visita spirituale, una preghiera silenziosa vorrei fare. – Modello, sistema, civiltà presente proiettata nel futuro, porte della disillusione. Ipocrisia a discapito della periferia, paradosso di un salotto che riceve nel disordine. Circonferenza del benessere travestita di apparenza. Fragile e sottile è la linea che non vede confine tra l’umano sentire e l’inumano pensiero. / Metropoli del Melograno, Mia Manager Corso Sicilia, Piccoli Soli d’Argilla Protezione delle Stelle, Viale XX Settembre, Via De Felice, Via Grotte Bianche. (Catania Visionaria)

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press

Di Lavinia D’Agostino ([email protected])

Trasforma tutto ciò che gli capita tra le mani: da una tv fuori uso a un disco dell’aratro, da un antico anello di famiglia fino all’ultimo ritrovato nel cassonetto. Claudio Arezzo di Trifiletti, diretto discendente dell’antica famiglia blasonata siciliana, è un artista poliedrico. Intriso di fede cristiana e una forte spiritualità, vive in una casa che sembra un museo: una grande collezione privata di dipinti, installazioni e tanti ricordi. «La casa per me è nido, protezione, contenitore, calore» racconta accogliendoci. Già sul pianerottolo c’è un grande murales: «Rappresenta l’unione tra l’Oriente e l’Occidente – spiega l’artista – con delle candeline sul Giappone, in memoria del disastro di Fukushima». Sotto ci sono delle pietre, quelle dell’Etna, e anche pezzi di legno e sculture perché Claudio Arezzo Di Trifiletti vive in un mondo fatto di connessioni dove nulla è casuale: per la sua arte si fa ispirare dagli oggetti, o meglio, dalle vibrazioni che questi trasmettono, dalla storia che si portano dietro. «Credo molto alle vibrazioni delle terra attraverso le quali siamo connessi con tutto il mondo». Claudio si definisce, più che artista, “strumento”, intermediario di un progetto più alto: «Quando dipingo sono in uno stato di semi-trance, tutto mi è suggerito da sensazioni, emozioni e segnali». Qualunque sia la sua fonte d’ispirazione, nel grande appartamento in cui vive, un quinto piano al centro di Catania, si respira un’energia positiva. Qui tutto è colorato, dipinto, rigenerato. Un’antica maidda è diventata un pezzo d’asfalto, il frontale di una vecchia Fiat 500 è appeso in corridoio e le tv non si accendono, ma contengono gabbie e specchi. Le spade dei nonni, infilzate nel sale e nell’argilla, campeggiano nel salotto, ma sono isolate dal resto «perché sono comunque degli strumenti d’offesa». Questa casa è invasa dal sentimento positivo, come testimonia anche una cassapanca che custodisce centinaia di lettere d’amore perché «come disse Gesù, non esiste spada più tagliente dell’amore». In ogni spazio ci sono opere, persino sul tetto, e anche le porte sono decorate: con parole, con sabbia, con semi di girasole, riso e grano. Qui tutto è intrecciato, incastrato alla perfezione. E tutto ha un senso, un significato alto, un percorso preciso. C’è una statuetta che un ignoto immigrato ha portato con sé durante una delle traversate della speranza, un antico ombrello intriso di vernice simboleggia l’inquinamento dell’aria, e anche i barattoli che contenevano i colori sono diventati installazione. Poi, alzando lo sguardo, un papillon è appeso a quello che doveva essere il un bracciolo di una sedia: «Era di uno dei sopravvissuti della Costa Concordia – spiega l’artista -. Concordia è una parola importante in italiano, quando è affondata la nave ho pensato che fosse necessario riportare in alto la concordia, quella tra le persone». Claudio Arezzo Di Trifiletti è un uomo dalla sensibilità particolare, forse antica, comunque rara. Lui, che per anni ha fatto l’organizzatore in discoteca e a 23 anni era uno dei titolari del Clone Zone, dopo un viaggio in India ha capito che doveva seguire la strada dell’arte. «Volevo dare un taglio a quella vita dissoluta in cui mi nutrivo di vizio – racconta -. In India mi sono confrontato con degli illuminati, mi hanno consigliato di tornare a Catania per dipingere. Perché ognuno ha il suo ruolo nel mondo, e nasce nel posto giusto». Da lì le prime mostre. Prima a Parigi e poi all’Empire State Building di New York dove ha portato il frutto di un lavoro che per 68 giorni ha visto partecipe l’intera Manahttan. Era nato Imprints, il suo grande progetto artistico che mette in connessione il mondo attraverso le impronte lasciate dai passanti. In questi anni ha raccolto impronte in 15 Paesi, tornato a casa le ha dipinte trasformandole in grandiose opere d’arte. «Sogno di poterle esporre in un unico grande spazio – continua -. Magari in un capannone abbandonato di un quartiere disagiato. Ogni anno faccio richiesta alle istituzioni, ma neppure mi rispondono. Sono convinto che prima o poi arriverà questo momento, in caso contrario morirò con la consapevolezza di averci creduto fino in fondo. Intanto penso al da farsi, e se arriverà il “segnale” andrò a raccogliere le impronte di Cina, Russia e Giappone». Ma Imprints è solo uno dei tanti progetti che Claudio Arezzo Di Trifiletti ha portato avanti in questi anni. Mosso sempre dalla volontà di seminare amore e unione, per tre anni ha inviato un pezzo di una stessa tela, insieme ad un messaggio di pace, agli ambasciatori d’Italia all’estero e agli ambasciatori esteri in Italia. Nel caleidoscopio di opere colorate che è casa sua, trovano posto anche le piante, che per l’artista hanno un significato profondo: «Hanno radici nella terra e si elevano verso il cielo». Già sopra il suo letto trova posto un Potus, e poi ci sono i Ficus Benjamin per casa, me è nel balcone rigoglioso che si trova il pezzo forte: un albero d’ulivo «Frutto di un aperitivo in Giordania – conclude – . Mi sono sempre emozionato davanti alle piante. Penso che siano il futuro, e noi siamo alle porte di una nuova rivoluzione: ci allontaneremo dalla tecnologia per tornare alla terra, all’origine dei padri. Involverci per evolverci».

Vivere I 01_11_13

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